La RIVOLUZIONE di oggi non sta più nel cambiamento, ma nella continua ACCELLERAZIONE, che riduce il nostro presente all’impossibilità di un TEMPO COMPIUTO.
E allora il tempo diviene la negazione del momento di soddisfazione che si dilaziona costantemente esplodendo in possibilità moltiplicata, ma rimanendo sostanzialmente INCOMPIUTO, e non completamente vissuto.
È una dimensione questa in cui tutto si contrae, il tempo stringe, lo spazio stringe, e solo l’evasione sembra una soluzione accessibile.
Questa IMPOTENZA di occupare il presente accettando la sua limitatezza e transitorietà, ma vivendolo con serena consapevolezza, nel nostro quotidiano si trasforma nella POSSIBILITÀ che non si manifesta, incatenandoci nel “come se” del nostro desiderio. Come se ciò che vogliamo non si fosse ancora realizzato, ma solo a causa della nostra libera intenzione di realizzarlo che è rimasta sospesa, malcelando così i limiti e la paura del fallimento.
L’illusione del tutto e subito non accetta di adeguarsi alla realtà contingente in attesa, con pazienza di costruire negli spazi che abbiamo in vista di una realizzazione; al contrario ritiene questo atteggiamento da deboli, da perdenti, rifuggendone costantemente.
È la nostra incapacità di contenere il bisogno che ci proietta nell’illusione della sua immediata realizzazione.
E la promessa di una soddisfazione prossima-futura, ci priva del tempo dell’attesa come metabolizzazione della non riuscita, producendo un A-VENIRE che necessariamente deve essere, non può non essere se non al costo di mutarsi in uno spazio vuoto inabitabile.
Ma solo resistere alla non realizzazione contingente ci permette la realizzazione futura: dobbiamo accettare il rischio della sconfitta se accettiamo il combattimento.
La sconfitta allora ci può insegnare e non è più una disfatta irreparabile e anche il combattimento si trasforma in un rituale dal valore iniziatico.
La visione odierna del futuro ci propone ancora apparentemente un progresso rivoluzionario: ma in realtà questo è un progresso conservatore; anzi, alle volte reazionario nella sua manifestazione.
Reazionario in quanto ci tiene saldamente al di qua delle nostre paure, indebolendoci e rendendo impossibile un’evoluzione verso l’imprevisto come veramente nuovo. Non è un caso il successo ed il moltiplicarsi dei sondaggi e dell’attenzione alla previsione del tempo e degli eventi futuri, ma in realtà è solamente il passato l’unica garanzia a cui attaccarsi, nel suo indice di ricorrenza come proiezione futura.
Si percepisce così un tempo già noto, l’effetto del già visto, che ci rende indifferenti agli eventi che nella loro realtà ci rimangono sconosciuti.
ABITARE IL TEMPO PRIMA DEL TEMPO CI CONDANNA AD UN PRESENTE DISABITATO.
Se non si abbandona il passato ed il presente con un atteggiamento di non-attaccamento vitale – che non vuole dire di distacco, quindi – si corre il rischio di riproporli all’infinito impedendoci non solo la nostra dimensione storica dello scorrere dei giorni sempre uguali che rimangono bloccati nel rimpianto del non vissuto, ma anche la nostra dimensione meta-storica spirituale.
Il passare del tempo in quanto tale e senza rinnovamento porta solo alla ripetizione sempre più asfittica ed insignificante; ma il rinnovamento ha il costo di accettare la fine.
La fine che diviene un nuovo inizio: ma prima della fine c’è quello stato di imponderabilità in cui possiamo solamente affidarci ed aspettare con coraggio e trepidazione.
Questo attraversare la fine opera in noi un passaggio di stato qualitativo come un “SALTO”, una trasmutazione del nostro vissuto.
Se è vero che l’essere umano è sostanzialmente un essere storico, allora la sua storia è si un procedere, ma un procedere che contiene anche un avanzare di ritorno, come nel linguaggio marinaresco.
Ritorno all’Uno, ritorno all’essenziale, ritorno “a quello che era il mio volto prima della nascita”, come dice poeticamente il buddismo; ma nello stesso tempo poter scorgere un volto che emerge oltre le nebbie del nulla del futuro. E quel volto è un Volto amico, che ci può accogliere alla fine del cammino e ci sostiene ad ogni passo.
Rivoluzione è incontrare nel tempo l’eterna novità, che solo nel tempo possiamo cogliere come evento. È solo nel tempo che cogliamo un’altra dimensione del tempo, quella che magistralmente R. Panikkar chiamava TEMPITERNITÀ.
Allora scopriamo che l’avvenire – il “SOLE DELL’AVVENIRE” – è la semplice consapevolezza di poter trovare nella nostra esistenza uno spazio in cui finalmente possiamo accorgerci della sua luce che ci riscalda.
Ogni rinascita è rivoluzionaria, ma la rivoluzione di per sé non rappresenta una rinascita.
dott. Carlo Robustelli