YOGA E CUCINA – YOGADANZA – YOGA CON GLI SCARPONI, ECC…
Sempre più frequentemente leggiamo sulla stampa nazionale titoli che abbinano lo yoga e… lo yoga a… qualcosa, come se da solo questo non fosse più così interessante.
Generalmente viene usata la congiunzione ‘e’, o un aggettivo con un significato rafforzativo o esplicativo sempre accattivante, come se lo yoga fosse pronto a soddisfare un nostro bisogno non ancora esplorato ma che diventa urgente visto che ora ci viene dato modo di soddisfarlo.
E così in modo sottile e quasi impercettibile, non ci aspettiamo ormai più semplicemente il termine yoga da solo, yoga e basta, come se lo conoscessimo già, il termine diviene noto e non ci stimola alcun interesse di per sé se non viene declinato nei suoi aspetti ed effetti specifici (e speciali) di volta in volta esposti.
Ma il problema non è solo nominale, esso è più profondo di quanto appare a prima vista: non è certo un semplice interesse didascalico divulgativo che ha portato a tutto questo, piuttosto a mio parere tutto ciò risponde ad un’esigenza di mercato che ha bisogno come le mode di rinnovarsi nell’offerta se non vuole scomparire nel dimenticatoio.
Mi spiego meglio. Il fatto di abbinare costantemente lo yoga a qualcos’altro non è certo necessario: al contrario rappresenta una dimensione accessoria, ma l’accessorio oggi diventa necessario se vogliamo vendere una merce; UNA MERCE, LO YOGA, per la quale bisogna costantemente alimentare l’interesse, e fino a qui se ne potrebbe ancora discutere, se non fosse che in questa ricerca continua di novità arriviamo progressivamente a BANALIZZARE LO YOGA svuotandolo di significato e confondendolo con tutte le altre proposte sotto la VOCE: “BENESSERE”.
Filosoficamente, senza paura di usare un linguaggio troppo “pesante”, qui ci troviamo di fronte a quello che potremmo definire una BESTEMMIA ONTOLOGICA, e cioè ad un grado di DISSACRAZIONE dello yoga in sé, che ne deforma ed altera totalmente i contorni e i contenuti.
Questo è un problema serio, deve essere un problema serio, soprattutto per chi si trova come noi oggi ad insegnare e condividere questa pratica millenaria, cercando di attualizzarla senza però snaturarne il messaggio originario.
È il problema della STRUMENTALITÀ e dell’uso dello STRUMENTO: non è un problema che riguarda solo lo yoga. Questo vuol dire comprendere che ogni strumento, compreso quello dello yoga quindi, ha un’efficacia ed un valore diverso che dipende principalmente da chi lo usa. E quindi dall’onestà, oltre che dalla capacità tecnica e dalla competenza, di chi lo insegna e chi lo pratica.
Quello che più addolora e delude è il vedere che nessuno dice niente, nessuna delle Associazioni di settore, nessuno dei nomi noti al pubblico esprime un’ opinione al riguardo, come in una sorta di tacere complice in nome del facile accomodamento o di un’eburnea supponenza.
Personalmente sento l’importanza di dover dire qualcosa in difesa dello yoga, per quello che è per me, e le persone con cui condivido quotidianamente questa esperienza, perché non è vero che questo si difende da solo in quanto esso è solo una pratica oltre che una filosofia, il cui valore è nella realtà del modo in cui viene praticata e nei fini che si prefigge, piuttosto che NELL’ESEGESI DI UNA DOTTRINA SCRITTA E IMMUTABILE.
Lo yoga è una filosofia pratica vitale, in continuo fruire e quindi a maggior ragione dipende da chi la testimonia praticandola, e allora bisogna avere il coraggio di distinguerla da quello che non è.
Questo non può essere certo un compito facile, ma è tuttavia necessario, ed è auspicabile che possa nascere un dibattito al riguardo anche di larga portata in cui si possano confrontare le diverse posizioni.
Per il momento vi invito a diffidare di tutto quello che fa dello YOGA una PROPOSTA RIDONDANTE, spettacolare, inedita perché “…è nel gusto per lo straordinario che si nasconde la mediocrità” come diceva Chateaubriand, perché nel tentativo di attirare SUBITO la vostra attenzione qualcosa di sostanziale viene perduto, perché è bene ricordarlo, la verità si rivela nella profondità, non nell’immediatezza della prima impressione.
dott. Carlo Robustelli